Il Codex Bellunensis è un manoscritto datato al XV secolo e conservato nella British Library di Londra (Ms. Add. 41623); dal 2006 è disponibile al pubblico in un’edizione facsimile curata dal Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi; può essere considerato un “libro dei semplici”, in cui sono descritte e raffigurate a colori oltre 200 piante usate a scopo terapeutico. Nel Medioevo la cura delle malattie si basava infatti sui rimedi naturali e l’insegnamento della “Materia medica” nelle facoltà di Medicina prevedeva la trattazione sistematica dei “rimedi semplici”, cioè le medicine di derivazione naturale, ricavate dal mondo vegetale, animale e minerale. In Veneto, dal 1407, l’Università di Padova era l’unico ateneo autorizzato nel territorio della Serenissima e il contenuto “scientifico” del Codex Bellunensis è strettamente legato agli influssi di questa scuola medica, in cui si insegnava anche l’importanza dell’osservazione diretta delle piante, stimolando la segnalazione di nuove specie, gettando le basi per l’osservazione naturalistica moderna.
Gli autori del Codex Bellunenìsis, rimasti ancora ignoti, avevano consapevolezza delle particolarità naturalistiche del territorio in cui vivevano e aggiunsero a questo manoscritto il loro contributo originale. Si trovano qui descritti e raffigurati per la prima volta alcuni fiori tipicamente alpini come la stella alpina (Leontopodium nivale) chiamata allora “pilago”, la carlina segnatempo (Carlina acaulis) chiamata “Oculus bovis” e il giglio martagone (Lilium martagon); fra i rimedi naturali tratti dal mondo animale, compare per la prima volta la salamandra alpina (Salamandra atra), chiamata “rexupina”, anfibio tipico del territorio alpino, descritto nell’atlante degli anfibi e dei rettili del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi.
Per chi percorre il Cammino delle Dolomiti, può essere interessante sapere che nel Codex Bellunensis è raffigurato per la prima volta il larice, con le sue pigne, che sono state scelte come simbolo di questo itinerario; l’albero è qui chiamato “larexo”, ma senza riportare nessun altra indicazione. Nascosta parzialmente dal tronco del larice, si nota però una filigrana.
Le filigrane erano dei marchi realizzati durante la produzione della carta; fu lo svizzero Charles-Moȉse Briquet (1839 – 1918) a intuire che potessero essere elementi utilissimi per lo studio e datazione di documenti cartacei antichi.
Se si ruota di 180 gradi la pagina, si può riconoscere una creatura alata, inserita in un cerchio, con la testa a fauci aperte. L’immagine coincide con la filigrana n. 2713 catalogata da Briquet come un basilisco in un cerchio e documentata a Treviso nel 1445. Il confronto con le filigrane analoghe presenti in altre pagine del Codex Bellunensis, in cui è meglio evidente anche la coda filiforme a singola ansa del basilisco, toglie ogni dubbio sull’identificazione. Si può quindi affermare che, verso la metà del XV secolo, la composizione del Codex Bellunensis non era ancora stata terminata, diversamente da quanto finora ritenuto,
Questo “libro dei semplici” era quindi contemporaneo all’erbario Herbe pincte di Antonio Guarnerino da Padova, pubblicato a Feltre nel 1441, oggi consultabile online, in cui sono raffigurate per la prima volta 43 specie botaniche, fra cui, in particolare il giglio di San Giovanni (Lilium bulbiferum) qui chiamato “martagon minor”.
Il larice del Codex Bellunensis ha quindi permesso di svelare un piccolo segreto (F.L.).
FOTO IN EVIDENZA: Per gentile concessione della “British Library Collection”, Ms. Add. 41623, folio 111 recto – Larexo.
FONTI
- Charles-Moȉse Briquet, Les filigranes. Dictionnaire historique des marques du papier dés leurs apparition vers 1282 jusqu’en 1600, Ginevra, Jullien, 1907, vol. I, pp. 190, 193, n. 2713.




