San Faustino e Giovita di Libàno e Santa Maria a Valdenère di Bolàgo

Due chiese sconsacrate - uno sguardo sull'origine del culto di San Martino a Belluno

Chiesa di San Faustino e Giovita di Libano

La chiesa, posta su un colle in posizione dominate, è citata per la prima volta nel 1346 e, in passato, era circondata da un cimitero. Le origini della chiesa sono però molto più antiche, come attesta un pluteo mutilo, cioè un pezzo di balaustra in pietra che divideva l’interno del luogo sacro, databile al VIII-IX secolo, un tempo murato sulla facciata della sagrestia e ora conservato al Museo civico di Belluno. Nel 1483 viene citata come “sanctum Faustinum” in una concessione mineraria fatta al priore di Vedana, Gregorio Trevisan. Nel XVI secolo il celebre letterato bellunese Pierio Valeriano fece murare vicino alla porta laterale della chiesa una lapide con iscrizioni, ritrovata nelle vicinanze, appartenuta probabilmente a un tempietto di epoca romana dedicato a Giove; si legge infatti nella lapide: OVIOM P HOSTILIUS SERTORIANUS VLSM”, trascrivibile come “Ornatus Vir Iovi Optimo Maximo, Publius Hostilius Sertorianus Votum Solvit Libens Merito” che tradotto significa: “il nobile uomo Publio Ostilio Sertoriano ha sciolto con gioia il suo voto doveroso a Giove ottimo massimo”. Un’altra lapide in pietra bianca, murata presso l’angolo della facciata, riporta solo la data “1507”; una terza lapide, databile probabilmente al 1649, è murata nel campanile e si riferisce a una ristrutturazione eseguita dal cappellano Girolamo Croato e dal massaro Domenico Barpo. All’interno della chiesa è ancora visibile un’iscrizione dipinta dal pittore locale Marco da Mel, datata 1524, firma di un affresco andato perduto. La forma attuale della chiesa induce a ritenere che l’edificio fu ristrutturato più volte, in epoche successive. Dal 1784, anno di istituzione della parrocchia, divenne la chiesa parrocchiale di Libàno, rimanendo tale fino al 1901, anno della consacrazione della nuova chiesa a Bolago; nel 1920 venne decretata la sospensione del culto; fu occupata da soldati durante la Seconda Guerra Mondiale; nei giorni immediatamente successivi alla tragedia del Vajont (9 ottobre 1963), nella chiesa vennero temporaneamente deposti i corpi di 77 vittime, fra cui alcuni bambini, recuperati sulle rive del Piave, presso il ponte di San Felice, vicino a Trichiana. Attualmente sono in corso progetti per il recupero dell’edificio.

Chiesetta di Santa Maria nascente a Valdenère di Bolago

La chiesetta era situata a un centinaio di metri di distanza da San Faustino ed è citata fin dal 1392, anche se sicuramente era di origine molto più antica; era dedicata alla natività della Beata Vergine Maria, o Santa Maria nascente, celebrata l’8 settembre, nella cosiddetta festa popolare di Maria Bambina; era circondata da un piccolo cimitero e, anticamente, aveva davanti un portico coperto da tegole e sorretto da due colonne; è attestata con continuità e fu frequentata dal papa bellunese Gregorio XVI, come egli stesso ricorda in un documento del 1838; una rara fotografia testimonia che era ancora in uso verso il 1930; venne venduta nel 1947 e attualmente è stata inglobata in un’abitazione privata.

In precedenza l’edificio era stato sottoposto a diverse ristrutturazioni; in una di queste, nel 1762, venne ritrovato un frammento in pietra del coperchio a baule di un un sarcofago con l’iscrizione “FELIX EPS”, cioè “Felix episcopus”; la lapide fu perduta in epoca napoleonica, ma ne fu conservato il disegno grazie a una incisione del tempo di Francesco Monaco, ora custodita nel Museo di Belluno; la stessa notizia è riportata anche in una nota dello storico bellunese F. Pellegrini, che ipotizza per il sepolcro la data 560; l’analisi tecnico-stilistica propende per una datazione riferibile alla seconda metà del VI secolo.

L’interesse sull’origine della chiesa di Santa Maria di Valdenere e di quella di San Faustino e Giovita è quindi strettamente legata alla sepoltura del vescovo Felice che, secondo la tradizione, fece introdurre il culto di San Martino (316/317 – 397) nella diocesi di Belluno nell’anno 547.

Domande aperte e tentativi di risposta

Chi era il vescovo Felice? Come mai fu sepolto nella chiesetta di Valdenere? Come mai la chiesa di San Faustino e quella di Santa Maria di Valdenere erano così vicine? A cosa si deve la dedicazione a San Faustino e Giovita, unica nel Bellunese? Come mai la chiesa di Valdenere era dedicata a Santa Maria nascente? I tentativi di rispondere a tutte queste domande si basano solo su ipotesi, per il momento prive di riscontri certi.

La ricostruzione delle vicende storiche del vescovo Felice non è semplice. Lo storico longobardo Paolo Diacono (720 – 799) racconta che due amici, Felice e Fortunato, mentre si trovavano a Ravenna, furono entrambi guariti da una malattia agli occhi, per intercessione di San Martino e, in un altro passo parla di un vescovo Felice di Treviso che andò incontro al re longobardo Alboino, mentre entrava nel Veneto nel 569. Lo storico bellunese Giorgio Piloni (1539 – 1611) ricorda l’episodio in cui Felice, vescovo di Belluno, trovandosi a Ravenna nel 548, in compagnia di Fortunato, fu guarito da un problema agli occhi, con l’olio che ardeva nel tempio del beato Martino, decidendo quindi di dedicare al santo il tempio maggiore di Belluno e aggiungendo che “fu questo episcopo Felice sepolto nella chiesa di Santa Maria di Val de Nere nel villaggio di Bollago territorio Bellunese, dove si era ridotto ad habitare per fuggire i bellici tumulti et per star lontano dagli Arriani”; in un passo successivo Piloni riferisce anche dell’incontro fra il vescovo di Treviso Felice e Alboino.

Fortunato è identificato con il poeta e vescovo Venanzio Fortunato (530 – 603), che, al termine del suo poema “Vita di San Martino”, racconta di come fu guarito da una malattia agli occhi, a Ravenna, per intercessione di San Martino, assieme al suo amico Felice, di Treviso; il suo è sicuramente il racconto più antico, da cui probabilmente presero spunto gli altri due autori.

Le opinioni degli storici non sono concordi, ma è probabile che Felice vescovo di Belluno e Felice vescovo di Treviso non siano state due persone diverse, ma un’unica persona. I motivi per cui il vescovo Felice fuggì o venne esiliato dalla sua sede originaria trevisana, per rifugiarsi nel Bellunese, presso Bolago, dove verosimilmente morì e fu sepolto nella chiesetta di Valdenere non sono noti con certezza, ma potrebbero essere ricercati in tre diverse cause: la guerra fra i Goti e i Bizantini (535 – 553), la crisi dei Tre Capitoli (553 – 699) e l’arrivo dei Longobardi in Italia (568 – 569).

Nel corso della guerra con i Goti, di fede ariana, Belluno e Feltre furono verosimilmente tra le ultime città della Venezia a essere occupate dai Bizantini, certamente dopo la resa di Ravenna del 540; si ritiene quindi che il dominio bizantino nel Bellunese sia stato piuttosto breve, fino all’arrivo dei Longobardi; il viaggio di Venanzio Fortunato e del vescovo Felice a Ravenna potrebbe essere avvenuto nel 547 o nel 548, come riferisce il Piloni; nel 565 Venanzio Fortunato lasciò Ravenna e raggiunse Metz, in Francia, probabilmente per motivi legati alla crisi tricapitolina. In questo periodo, specie dopo il 553, quando si aprì la crisi dei Tre Capitoli e il metropolita di Aquileia, con alcuni dei vescovi a lui fedeli, si opposero alle imposizioni dell’imperatore bizantino Giustiniano I, i suoi generali furono probabilmente piuttosto duri con i vescovi tricapitolini ribelli, costringendoli ad abbandonare le loro sedi: così potrebbe essere accaduto a Felice, vescovo di Treviso. Se si ritiene che il vescovo Felice di Belluno e di Treviso siano la stessa persona, bisogna ammettere di conseguenza che la sepoltura a Valdenere di Bolago avvenne successivamente all’incontro con Alboino, quindi dopo il 569.

Nel primo periodo dopo il loro arrivo in Italia, i Longobardi erano di fede ariana e, a Belluno, come in molte altre città, imposero vescovi ariani che si affiancarono e spesso sostituirono i vescovi cattolici che vennero allontanati dalle loro sedi e costretti a operare in sedi extra-urbane, dove vennero sepolti. Nei dintorni di Belluno ci sono alcune chiese che potrebbero aver ospitato le tombe di vescovi locali sepolti extra-moenia:  la chiesa di San Marco di Vedana (ora San Gottardo), originariamente dedicata anche a San Salvatore, che la tradizione indica come vescovo di Belluno; la chiesa di Homininus di Carmegn, un nome sconosciuto a tutti i martirologi; la camera sepolcrale della chiesa di San Daniele – San Liberale di Pedeserva (presso Sala di Cusighe, toponimo longobardo); in quest’ultimo caso i longobardi bellunesi non avrebbero avuto la necessità di costruire un’altra chiesa, ma potrebbero semplicemente averne cambiato la dedicazione, in modo che il nome del vescovo qui sepolto venisse deliberatamente cancellato (Piloni ricorda, oltre a Felice, i nomi dei vescovi Arriberto, Liotario, Valfranco e Giovanni, specificando di non saper dire “qual fosse il Catolico – oltra Felice – et qual Arriano”). La situazione di Libano – Bolago potrebbe essere stata diversa, suggerendo di lasciare in sede la chiesa con la tomba del vescovo Felice, costruendone un’altra vicina, con una diversa dedicazione: la costruzione della primitiva chiesa di Libano, dedicata ai santi Faustino e Giovita, patroni della città e della diocesi di Brescia, dove vissero in epoca paleocristiana, potrebbe perciò risalire all’epoca longobarda; l’élite longobarda bellunese, attraverso i contatti e gli scambi con quella lombarda, potrebbe aver scelto questo culto, unico nel Bellunese, per contrapporlo a quello del vescovo cattolico Felice, sepolto nella vicinissima chiesa di Valdenere. Terminato il periodo di dominazione longobarda, persistendo il culto del vescovo Felice, di fede tricapitolina, i nuovi vescovi di Belluno, di origine franca, avrebbero deciso di cambiare la dedicazione della chiesa di Valdenere, intitolandola a Santa Maria nascente, culto tipico dell’epoca carolingia, presente anche nelle chiese principali di Agordo e di Pieve di Cadore.

Per saperne di più

La Parrocchia dei Santi Faustino e Giovita in Libàno. Storia e religiosità della sua gente, a cura di Gianni De Vecchi, don Francesco Di Stefano, Edito dalla Parrocchia dei Santi Faustino e Giovita in Libàno di Sedico (BL), Tipografia Piave, Belluno, 2006, 373 – 396.
Venanzio Fortunato, Vita di San Martino, a cura di Gian Domenico Mazzocato, Cornuda (TV), 2005, 122 – 123.
Davide Fiocco, Venanzio Fortunato: piccoli legami bellunesi nell’epoca dei Padri della Chiesa, Dolomiti, 2003, n. 2, 23 – 34.
Diocesi di Belluno e Feltre, a cura di Nilo Tiezza, Gregoriana Editrice, Padova, 1996, 40 – 47.
Giorgio Piloni, Historia della città di Belluno, 1607, ristampa Arnoldo Forni Editore, 2002, 48v e 50v.
Marco Perale, L’Alto Medioevo nella Provincia di Belluno, Cariverona, 2001, 35 – 37.
Marco Perale, L’Alto Medioevo, in “Storia di Belluno” a cura di Giuseppe Gullino, Cierre Edizioni, Verona, 2009, 88 – 89.
Paolo Conte – Marco Perale, 90 profili di personaggi poco noti di una provincia da scoprire, Belluno, 1999, 113 – 144.

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